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1 settembre 2007 - Mimmo Canonico Reloaded
Critica dell'osservatore. GUARDO QUESTO DIPINTO DI MIMMO CANONICO…
La critica è immediata, priva di quelle costruzioni saggistiche e tecniche compito di studiosi del settore, riflessioni oggettive e necessarie che l’arte in senso ampio tende a richiamare.
Adesso è l’occhio dell’osservatore che guarda, non quella del tecnico addetto alla situazione, l’occhio di chi vede i colori riportati su una tela, davanti a sé, ne coglie il soggetto/i e va a ricercare dentro se stesso, attraverso un fulmineo e inconscio viaggio, se esiste qualcosa di simile dentro di lui, qualcosa che forse è appartenuto a un passato lontano che la ragione più non ricorda, un “quadro” dell’anima che si sposta indietro di anni, di giorni, forse di sole poche ore e scoprire che esiste davvero qualcosa, qualcosa che si è compiuto di quei colori, di vento inopportuno o salvifico, di alberi ballanti nell’aria al suono di una musica che corre lungo i ciottoli di una strada antica; un “quadro” dell’anima che si è fatto di segreti chiusi tra mura, o ancora più meravigliosamente cosparso di profumo marino o di morbidi petali. E’ antico il bisogno dell’uomo di spiegare a se stesso non tanto la gioia, ma il dolore, perché il dolore che non può essere spiegato è l’unico che non merita ascolto. E’ sul bisogno atavico dell’essere uomo di ricordare che si basa il desiderio di non dimenticare mai, situazioni, luoghi e profumi per potersi aggrappare lì, disperatamente a ciò che l’animo conserva più di quanto la razionalità consenta. Quello è il solo metro con cui l’osservatore guarda.
A questo primo sguardo dei dipinti di Canonico, il torrione è circondato da una curva e questo cosa può richiamare all’osservatore ignaro dello studio di una tecnica?
Le curve che possiede nel cuore? Sottili pieghe dai risvolti di raso? O ruvide cicatrici che non si cancellano? Il vento muove gli alberi, ma anch’esso si muove. Cosa sono? Cosa l’osservatore può leggervi? Forse un’emozione forte vicina al tormento, oppure il rinfrescante soffio di brezza nella calura, quello speciale breve attimo in cui tutto sembra più leggero; ma qui in questo dipinto il tempo è autunnale o invernale, le uniche stagioni clementi con la vita sulla terra, che le consentono di risparmiare energie. La strada è selciato di pietra, forse fredda, segnata dal camminamento della storia, viva e presente che conduce in luoghi che non si possono vedere oltre la curva ma solo immaginare. Il cielo è azzurro, non univoco, sfumato leggermente, delicato come le sfaccettature dell’essenza di cui è fatto l’uomo, l’animale, la foglia e il pianeta che non possiede vita.
Le case nel dipinto di Canonico sono indiscreti spettatori del passaggio su una via? Spiano, silenziose, i suoni della vita che scorre. Le finestre non sono forse gli occhi vigili che l’osservatore mai vorrebbe chiudere sul mondo per leggerne dell’amore, la gioia e il dolore? L’anima quando guarda, davvero, percepisce i respiri “del dentro le mura”, nonostante non voglia: taglienti lame, carezzevoli piume, e non può esimersi dall’ascoltare degli eventi trascorsi ogni aspetto. Chi guarda un dipinto ricerca “il proprio tempo” per ricondurlo a sé attraverso il viaggio inconsapevole dell’introspezione. E poi, ancora…
Dinanzi al mare che sospinge avanti i pensieri più veri, chi dell’agave non ne bramerebbe la forza per rimanere ancorato al destino anziché da esso essere spazzato lontano, in quel cielo, che ha solo la colpa di essere se stesso, azzurro-invitante, e per questo fare paura? La bellezza soggettiva è l’unica capace di aprire nell’uomo, al primo sguardo, la porta delle emozioni. La rabbia in questo dipinto di Canonico è un vento di sabbia fine, dissacrante per la furia con cui infligge se stesso sugli arbusti che si piegano per lasciare al mare lo spazio che merita, senza niente pretendere in cambio. E’ l’anima che si flette per non spezzarsi? I colori sono bruni, intensi, caldi come un sorriso a metà, e il cielo è il caos che si annuncia perché ciascuno possa mettersi al riparo. Senza dubbio, per sua stessa natura, “l’uomo che guarda e vede”, non può sottrarsi suo malgrado dalla magia della “ricerca”, e in quel preciso istante compirà una scelta repentina: respirare il profumo di fiori affettuosi dentro a un vaso ben accomodato nell’ingresso di casa, o lasciare che l’anima muoia per rinascere, lì davanti ai flutti, solitaria come l’agave.
L’osservatore ad un primo sguardo, davanti a un dipinto, così come davanti a un panorama o ad una finestra non cerca la tecnica o la bellezza oggettiva, ma l’unico senso di vissuto soggettivo che gli appartiene.
“Io leggo con il metro della mia soggettiva esperienza per questo sono vero e unico rispetto al resto del mondo”.


L’osservatore. Bettina Bartalesi, scrittrice.
da comunicazione epistolare del 2009




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